Alcuni giudizi critici sul romanzo, apparso nel 1996 per i tipi della Casa editrice Firenze Libri:
"René Caillé, esploratore francese del primo Ottocento, figura storica dimenticata dai libri di storia ma non da chi nella storia ricerca paradigmi di comportamento, è mosso da due valori che oggi non potrebbero che essere considerati inattuali: l'avventura e lo scavo interiore. O meglio, l'avventura come luogo (il deserto) ove la ricerca di se stesso procede più speditamente perché niente e nessuno osa frapporsi tra l'io e l'io... Caillé decide di tagliare dietro di sé i ponti che lo legavano alla vecchia Europa per realizzare un sogno: raggiungere la favolosa Timbuctù, scrigno - secondo i cronisti dell'epoca - di inimmaginabili meraviglie. Per far questo l'esploratore si sottopone ad un duro apprendistato all'islamismo. Nasconde nel fondo di se stesso la propria identità cristiana ed europea e simula, in una sorta di pirandelliano gioco delle parti, una identità che non gli appartiene."
Alessandro Massobrio, Il Giornale, 16/06/1996
"Un romanzo storico il cui scenario è quello delle esplorazioni europee dei primi dell'Ottocento e il cui protagonista è quel personaggio singolare che fu René Caillé, il quale, per raggiungere Timbuctù, si avventurò da solo in territori mai percorsi da europei facendosi passare per arabo. Ma quest'opera non è solo una ricostruzione storica di un'impresa memorabile, bensì vuole essere una sorta di riflessione critica su quel lungo confronto che è stato il rapporto dell'Europa con la cultura del resto del mondo. Scegliendo quale protagonista un esploratore che si introduce in un mondo misterioso per carpirne i segreti, ma che sostanzialmente rimane deluso nelle sue fantasiose aspettative (rischiando anche di perdere la sua identità culturale e religiosa), l'autore ha voluto raffigurare simbolicamente il cammino della cultura occidentale: l'era delle esplorazioni ha di fatto segnato l'inizio di quel processo che ha portato alla crisi attuale della cultura europea e occidentale".
Francesco Grisi, Il Corriere di Roma, 30/06/1997
"Scritto in uno stile prezioso ed elegante, carico di suggestioni non soltanto visive ma assai spesso sonore, L'identità del fuoriuscito si propone come raro esempio di prosa poetica in una temperie letteraria in cui sia la vera prosa sia la vera poesia sembrano essere scomparse".
Alessandro Massobrio, Secolo d'Italia, 24/7/1996
"L'autore dosa abilmente fiction e realtà presentando il viaggio del protragonista attraverso il "Continente nero" come un itinerario che lo conduce alla scoperta di se stesso e del suo modo di concepire la vita, portandolo a fantasticare su una realtà diversa e originale quasi attraverso una luce magica. Ma Caillé è anche un personaggio pirandelliano per come riesce a portare la maschera della sua fittizia identità musulmana, con disinvoltura e anche con amara consapevolezza. Si interroga insistentemente sul suo sentirsi, a tratti, sdoppiato, sul suo sapere di non essere così come gli altri lo vedono e teme addirittura che il mentire con tanta abilità gli faccia perdere di vista il confine tra realtà e finzione".
Valeria Bonanni, La Via, 9/09/1996
"L'identità è il bene più prezioso, che non bisogna perdere e a cui non bisogna mai rinunciare, specie se questo avvenisse per inseguire un sogno/miraggio/inganno, come quello che fatalmente attrasse René Caillé, protagonista di questo libro, che distrusse la sua vita dopo avere distrutto la propria identità cristiana ed europea nel vano ed ostinato proposito di giungere, da finto arabo, alla leggendaria e inaccessibile Timbuctù".
Giulio Palumbo, Spiritualità & Letteratura, maggio- agosto/1996
"Il consiglio è di leggere il romanzo senza cercare sensi nascosti. Essi verranno da soli. Alla fine potrebbero sintetizzarsi nella convinzione che l'identità è un bene irrinunciabile, che occorre cercare, ma senza svendersi mai, senza mai tradire le verità che ci hanno nutrito prima ancora che avessimo la possibilità di conoscerle e comprenderle"
A cura di Civitas Christiana, febbraio-luglio/1997.
Il romanzo, nel corso del 1996, ha ricevuto il premio per la narrativa dal Sindacato Libero Scrittori Italiani, e il premio Internazionale letterario "Tito Casini".
Alessandro Massobrio, Il Giornale, 16/06/1996
"Un romanzo storico il cui scenario è quello delle esplorazioni europee dei primi dell'Ottocento e il cui protagonista è quel personaggio singolare che fu René Caillé, il quale, per raggiungere Timbuctù, si avventurò da solo in territori mai percorsi da europei facendosi passare per arabo. Ma quest'opera non è solo una ricostruzione storica di un'impresa memorabile, bensì vuole essere una sorta di riflessione critica su quel lungo confronto che è stato il rapporto dell'Europa con la cultura del resto del mondo. Scegliendo quale protagonista un esploratore che si introduce in un mondo misterioso per carpirne i segreti, ma che sostanzialmente rimane deluso nelle sue fantasiose aspettative (rischiando anche di perdere la sua identità culturale e religiosa), l'autore ha voluto raffigurare simbolicamente il cammino della cultura occidentale: l'era delle esplorazioni ha di fatto segnato l'inizio di quel processo che ha portato alla crisi attuale della cultura europea e occidentale".
Francesco Grisi, Il Corriere di Roma, 30/06/1997
"Scritto in uno stile prezioso ed elegante, carico di suggestioni non soltanto visive ma assai spesso sonore, L'identità del fuoriuscito si propone come raro esempio di prosa poetica in una temperie letteraria in cui sia la vera prosa sia la vera poesia sembrano essere scomparse".
Alessandro Massobrio, Secolo d'Italia, 24/7/1996
"L'autore dosa abilmente fiction e realtà presentando il viaggio del protragonista attraverso il "Continente nero" come un itinerario che lo conduce alla scoperta di se stesso e del suo modo di concepire la vita, portandolo a fantasticare su una realtà diversa e originale quasi attraverso una luce magica. Ma Caillé è anche un personaggio pirandelliano per come riesce a portare la maschera della sua fittizia identità musulmana, con disinvoltura e anche con amara consapevolezza. Si interroga insistentemente sul suo sentirsi, a tratti, sdoppiato, sul suo sapere di non essere così come gli altri lo vedono e teme addirittura che il mentire con tanta abilità gli faccia perdere di vista il confine tra realtà e finzione".
Valeria Bonanni, La Via, 9/09/1996
"L'identità è il bene più prezioso, che non bisogna perdere e a cui non bisogna mai rinunciare, specie se questo avvenisse per inseguire un sogno/miraggio/inganno, come quello che fatalmente attrasse René Caillé, protagonista di questo libro, che distrusse la sua vita dopo avere distrutto la propria identità cristiana ed europea nel vano ed ostinato proposito di giungere, da finto arabo, alla leggendaria e inaccessibile Timbuctù".
Giulio Palumbo, Spiritualità & Letteratura, maggio- agosto/1996
"Il consiglio è di leggere il romanzo senza cercare sensi nascosti. Essi verranno da soli. Alla fine potrebbero sintetizzarsi nella convinzione che l'identità è un bene irrinunciabile, che occorre cercare, ma senza svendersi mai, senza mai tradire le verità che ci hanno nutrito prima ancora che avessimo la possibilità di conoscerle e comprenderle"
A cura di Civitas Christiana, febbraio-luglio/1997.
Il romanzo, nel corso del 1996, ha ricevuto il premio per la narrativa dal Sindacato Libero Scrittori Italiani, e il premio Internazionale letterario "Tito Casini".
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