venerdì 2 maggio 2008

La fotografia è una forma d'espressione

Anni fa c'era chi teorizzava che il compito del fotoreporter fosse quello di documentare, a scopo di denuncia, le brutture prodotte dall'uomo nel mondo contemporaneo. Ne era derivata una sorta di etica fotografica che induceva a ricercare immagini di inquinamento, di costruzioni urbane prive di carattere accanto a insediamenti di pregio, di un'umanità degradata e imbruttita dalle privazioni o dall'alienazione, e via su questa strada. Confesso che, anch'io, forse perché il mio interesse per la fotografia di reportage coincideva con l'inizio della mia passione per i viaggi in quei paesi che rientravano nella sfera del cosiddetto Terzo Mondo, tendevo a rivolgere l'obiettivo verso gli aspetti meno gradevoli del mondo e dell'uomo. Del resto c'erano gli esempi dei grandi fotoreporter, che costituivano una sorta di scuola e facevano tendenza. Non si poteva fare a meno di riferirsi ad immagini come quelle di Werner Bischof e di Donald Mc Cullin qui esposte. Era ad autori come questi che ispiravo i miei primi lavori, come si vede dai due esempi che seguono alle foto dei due maestri.

















































Ma la mia formazione artistica, i miei studi dell'armonia compositiva, oltre che il mio gusto istintivo per la pulizia e per la bellezza, mi portavano in ogni caso a restituire un'immagine non dimentica del fattore estetico. Più tardi ho scoperto che anche i fotoreporter più "crudi" obbedivano alla mia stessa esigenza. Vedi l'esempio di Eugene Smith, dove la tragicità dell'evento, quale quello d'una veglia funebre, viene restituita e in qualche maniera mitigata dall'inquadratura di forte sapore estetico. In seguito, comunque, c'è stata una vera e propria reazione di rifiuto nei confronti della tendenza a cercare le immagini peggiori del mondo. Gli stessi fotoreporter degli orrori della guerra come Mc Cullin, Bischof ed altri sostennero che il mondo era così pieno di brutture che appariva sbagliato e addirittura diseducativo ostinarsi a mostrare solo quelle e che era più produttivo andare in cerca di quel poco di armonia e di bellezza che ancora si conservava in giro.














A mio avviso, questi due atteggiamenti obbediscono entrambi a una vizio di semplicismo o addirittura di manicheismo nel concepire quello strumento di comunicazione che la fotografia, come altre forme d'espressione artistica, rappresenta. La realtà può essere drammatica o allegra e la fotografia, come tutti i linguaggi artistici, deve cercare di restituire questi aspetti, magari accentuandoli, ma senza mai dimenticare l'indispensabile fattore estetico, che la nobilita e la esalta. L'immagine può esprimere il massimo della drammaticità e della tristezza, o il massimo della serenità o dell'allegria, ma il fotografo non deve mai dimenticare che lo scopo della sua inquadratura deve essere quello di creare poesia. Ecco alcuni esempi dove la poesia, secondo me, è palpabile (immagini di Franco Pinna, di Gianni Berengo Gardin e di Ernst Haas).

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